Ieri ci ha lasciati, a 93 anni appena compiuti, Umberto Riva, architetto milanese profondamente legato alla terra di Puglia. Nel Salento, che frequentava dalla fine degli anni Sessanta, ha realizzato una serie di architetture domestiche esemplari, tra esse la casa Miggiano ad Otranto, la casa Fedeli a Lecce, la masseria La Lazzara a Uggiano e, ultima in ordine di tempo, la casa Primiceri a Martano.
Aveva una forte coscienza delle sue origini sarde, era cresciuto nel fervente ambiente milanese del dopoguerra ma aveva studiato a Venezia dove, immediatamente, aveva eletto Carlo Scarpa suo maestro. Iniziava con lui un combattimento a distanza, drammatico, dal quale a suo dire veniva fuori sempre perdente, ma che non poteva evitare. Non era per lui un semplice riferimento da imitare ma un termine di paragone bruciante e un modo di essere, in ultima analisi un’inarrivabile dimensione etica del lavoro. L’architetto non si può che fare così, perché l’architettura si misura sulla capacità – non sensazionalistica – di stupire con la sua bellezza. “Perciò [essa] è sempre una sorpresa”.
Nel suo percorso, affrancato da prefigurazioni scolastiche e alimentato dalla pittura che praticava, si è nutrito di tutto quanto costituiva la tradizione dei luoghi, che frequentava curioso per scoprirne forme, tecniche, materiali e tutto quanto potesse costituire una ragione per il suo progetto. In quella tradizione riconosceva una sapienza antica che permetteva alle architetture “di farsi da sole”; ed imbastiva tutto questo, in modo misterioso com’è ogni creazione ben riuscita, con una serie di “innamoramenti” avuti nel tempo con Corbusier, Kahn, Prouvè, Aalto, Wright, Chareau, Albini, Terragni e tanti altri.
Fondava il proprio convincimento sulla verifica sperimentale della costruzione, necessaria benché rischiosa e minata di errori, e su un lavorio faticoso e sfibrante. Era il suo modo di costruire le proprie certezze, ed il risultato sempre ti spiazzava. Perciò le sue architetture salentine, ma anche le opere in Sardegna, sono preziose ed esemplari.
Abbiamo ancora bisogno di un architetto come lui, per chiedergli di poter imparare il segreto delle architetture che ci circondano, che ci sono così familiari ma che conosciamo così poco.
Vitangelo Ardito